Gastronazionalismo

Di di Michele Antonio Fino e Anna Claudia Ceccon

In un mondo in cui la globalizzazione ha reso le frontiere sempre più sfumate e le culture sempre più interconnesse, il cibo emerge come un potente strumento di identità e di affermazione nazionale.

Io leggerei questo libro in combo con: “Denominazione di origine inventata“, di Alberto Grandi e  “Storia della pasta in dieci piatti” di Luca Cesari. Questo libro lo puoi comprare qui.
“Gastronazionalismo” di Michele Antonio Fino e Anna Claudia Ceccon si immerge in questa complessa dinamica, esplorando come il cibo diventa un veicolo di nazionalismo e come le tradizioni culinarie vengono utilizzate per definire e rafforzare le identità nazionali.

“E il bisogno della politica di trovare nuova legittimazione, nel tempo della crisi della rappresentanza, con finalità populistiche e demagogiche…” (pag. 17-18)

Il termine “gastronazionalismo”, come spiegato dagli autori, si riferisce al tentativo di recuperare un’unità, derivata ad arte da un passato di omogeneità e coerenza che non è mai esistito. È il sintomo di un tentativo di autoaffermazione di radici proprie che, soprattutto oggi, sono percepite come fragili di fronte alla fluidità della società moderna (pag. 112). Questa tendenza emerge come una reazione alla globalizzazione e alla crescente omogeneizzazione delle culture.

“Il gastronazionalismo, con il suo tentativo di recuperare un’unità, derivata ad arte da un passato di omogeneità e coerenza che non è mai esistito, altro non è che il sintomo di un tentativo di autoaffermazione di radici proprie…” (pag. 112)

Il libro esplora come diversi paesi utilizzano il cibo come soft power, sia a livello internazionale che nazionale, per contrapporre una logica di “nazionale/buono” contro “straniero/cattivo” (pag. 83-84). Questa dinamica è evidente in esempi come l’uso della pizza come simbolo dell’identità italiana o come la cucina nativa del Michoacán in Messico diventa un’icona della gastronomia nazionale (pag. 82-83).

Gli autori sottolineano come il cibo sia spesso utilizzato per creare una narrazione nazionalistica, sfruttando la nostalgia e il desiderio di ritorno a un passato idealizzato. Questo è evidente in slogan come “Sì alla Polenta – No al Couscous” della Lega Nord o “Non au kebab, oui à la socca” in Francia, che sottolineano una resistenza alle influenze esterne e una celebrazione della tradizione nazionale (pag. 72).

“Nell’ambito di quei tentativi di sacralizzare la cultura per enfatizzare un modello nazionale, e appellarsi alle abitudini di consumo dei cittadini per creare leve in grado di proteggere i mercati, ritroviamo numerosi esempi emblematici di come la gastronomia possa diventare mero strumento di linguaggi politici e identitari. Soprattutto nel presente, dove il compito di ricavarsi un’identità è così complesso, proteggere la memoria di un passato, difendere quella continuità generazionale e storica, che sembra essere stata di colpo interrotta, si configura come un obbiettivo politico capace di ottenere largo consenso. D’altra parte, la cucina nelle esperienze sociali e politiche si lega facilmente ad affermazioni identitarie e troppo spesso è associata a toni autarchici e discriminatori nei confronti di chi è percepito come ‘altro’.” (pag. 102)

Le certificazioni di qualità

come DOP (Denominazione di Origine Protetta) e IGP (Indicazione Geografica Protetta) hanno avuto un impatto significativo sul senso di identità legato ai prodotti alimentari. Ecco alcune osservazioni tratte dagli autori.

Certificazioni e Identità

Le certificazioni DOP e IGP sono state utilizzate come strumenti per proteggere e valorizzare prodotti legati a specifici territori. Tuttavia, nel libro si evidenzia che, in alcuni casi, l’approvazione di DOP e IGP con caratteristiche produttive molto distanti da quelle tradizionali ha portato a tensioni. Ad esempio, sono nati Presìdi Slow Food in aperta polemica con DOP riconosciute dall’Unione europea, come nel caso del Bitto DOP e del Castelmagno DOP (pagine 96,95)

“Le DOP e le IGP si prestano piú facilmente alla causa di una produzione che attinge a una tradizionalitá per poi trasformarsi, però, in funzione di un mercato di larga scala, sacrificando quegli elementi “tipici” che sono apprezzabili in primis dalla comunitá locale, ma del prodotto rappresentano anche un indubbio carattere di autenticitá.” (pagina 122)


Identità e Appartenenza Nazionale

L’operea sottolinea che la gastronomia può diventare uno strumento di linguaggi politici e identitari. In particolare, in un contesto di globalizzazione, gli Stati utilizzano il cibo per rafforzare il potere emotivo dell’attaccamento nazionale, spesso in una logica di opposizione tra “nazionale/buono” e “straniero/cattivo” (pagine 102).

Gastronazionalismo

Il libro introduce il concetto di “gastronazionalismo”, che emerge quando la politica cerca di trovare nuova legittimazione attraverso la gastronomia, associando la cucina al concetto di cultura e identità. Questa tendenza può portare a una confusione tra identità e nazionalità, con un’accentuazione del nazionalismo attraverso la gastronomia (pagine 17,18).

Rischi dell’Essenzialismo Identitario

Viene evidenziato come, sia per le certificazioni che per altre forme di tutela della tradizione gastronomica, vi sia un rischio di cadere in un’identità essenzialista, basata su una tradizione ipostatizzata. Questo processo può accelerare la frantumazione del sentimento di appartenenza europea a favore di una rivendicazione oppositiva a piccole patrie gastronomiche (pagina 98).

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Torna in alto